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Lasciate un angolo incolto, perché almeno lì possano nascere e crescere anche le erbe e i fiori selvatici.
In Trentino c’è una catena montuosa di porfido rossastro, aspra e selvaggia. Nasce una ventina di chilometri ad est di Trento, oltre i laghi di Caldonazzo e Levico, e si spinge in direzione est nord-est, aprendosi un varco tra la Valsugana e la valle del Vanoi a sud, la val dei Mòcheni e la val di Fiemme a nord. Corre per 90 chilometri e s’infrange contro le Pale di San Martino. È il massiccio del Lagorai.
Boschi immensi e poche malghe
Il Lagorai è un territorio vastissimo e poco abitato. Karl Felix Wolff, il cronista delle tradizioni popolari trentine, che ha raccolto tutte le leggende e i racconti che da generazioni si tramandano nelle nostre valli, così annotava nel 1913: «Su tutta la catena da un’estremità all’altra non c’è un villaggio e si può camminare intere giornate nei boschi immensi senza incontrare anima viva». Questo perché il Lagorai è uno degli ultimi territori alpini rimasti intatti. E ancora oggi, se si eccettua la provinciale che da Borgo Valsugana sale su al passo Manghen, non ci sono altre strade che consentano di entrarci e attraversarlo. Quanto ai rifugi e ristori, in tutto il massiccio se ne incontrano solo tre: il Sette Selle, il Manghen e il Cauriol. Mentre per trovare le poche malghe aperte bisogna scendere di quota.
Un’oasi di natura intatta e incontaminata
Questa è la ragione per cui attraversare quello che viene anche definito il “Tibet d’Italia” è fondamentale avere scorte di cibo a sufficienza. Di acqua invece se ne può trovare quanta se ne vuole, basti pensare ai quasi cento laghi e laghetti sparsi su tutto il territorio. L’incontaminata Catena del Lagorai è un po’ l’alter ego delle Dolomiti. Se le rocce calcaree di dolomia non trattengono un filo d’acqua, ma incantano con riflessi rossastri, le rocce porfiriche del Lagorai sono preziosi scrigni d’acqua verde smeraldo. Le strade e le gallerie, i tralicci, le dighe e le altre opere dell’uomo che hanno modificato l’ambiente alpino, hanno finora risparmiato il Lagorai. Una montagna massacrata un secolo fa dalla violenza della guerra, è tornata a essere un’oasi di natura intatta e incontaminata. Ed è questo ancora il suo fascino.
Tracce della preistoria
Alla fine dell’ultima grande glaciazione, 12 mila anni fa, l’uomo ritornò sul Lagorai. C’era già stato 30mila anni prima. Quando nelle battute di caccia del Paleolitico l’Homo sapiens sapiens si era spinto nel Tesino, incrociando i Neanderthal prima che si estinguessero. L’arrivo dei ghiacci innescò una fuga dalle montagne. Ma col mutamento del clima, le tribù di cacciatori tornarono in quota. Anche perché, a causa del disgelo, enormi masse d’acqua si abbatterono sulle valli sottostanti, e la piana tra Trento e Bolzano si trasformò in unico lago. Per circa 5 mila anni l’uomo è restato su quest’area alpina del Trentino orientale, come testimoniano le tante tracce di bivacchi e i frammenti di selce. Dopodiché ogni presenza umana è scomparsa, per riapparire nel Medioevo, ma solo nelle malghe più a valle e nei periodi dell’alpeggio estivo.
Il consiglio che vogliamo darvi, a tutti voi amanti del Trentino, è di provare a conoscere questo massiccio straordinario. Un buon punto di partenza è sicuramente la val di Fiemme, ma ci si può addentrare da tutti i lati. L’importante è che vi sia chiaro il concetto che state entrando in un territorio solitario, dove il rumore del mondo è un’eco lontanissima.
E continuate a seguirci alla scoperta della nostra terra, delle nostre genti, dei nostri frutti!
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Ph credits:
Fototeca Trentino Sviluppo Spa – Foto di Roberto Bragotto, Stefano Slompo e Emil Bosco.