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Malgrado la storia, la leggenda vince sempre.
Per noi i freddi giorni della merla sono il momento ideale per sedersi al calduccio e leggere di antiche storie e leggende del Trentino. Qui ve ne proponiamo un piccolo assaggio; il nostro territorio vanta una notevolissima letteratura orale derivata dalla tradizione dei filò, le lunghe veglie invernali durante le quali le donne filavano e i bambini venivano allietati dalle narrazioni degli adulti.
La ninfa del lago di Carezza
Si narra che molti anni fa nel lago di Carezza vivesse una ninfa bellissima che con il suo canto deliziava tutti i viandanti diretti al passo di Costalunga. Un giorno passò di lì lo stregone di Masarè che udendo la sua voce se ne innamorò perdutamente. Lo stregone utilizzò tutti i suoi poteri per conquistare la ninfa, ma senza successo. Chiese aiuto allora alla strega di Lagwerda, che gli consigliò di travestirsi da venditore di gioielli, di stendere un arcobaleno dal Catinaccio al Latemar e di recarsi al lago. La ninfa rimase meravigliata di fronte all’arcobaleno, ma appena vide lo stregone si immerse nuovamente nelle acque del lago e mai più nessuno la rivide. Lo stregone, distrutto dalle pene d’amore, strappò l’arcobaleno dal cielo e lo gettò nel lago. Questa è la ragione per cui ancora oggi il lago di Carezza risplende di tutti i colori dell’iride.
La leggenda di Re Laurino
Ai tempi in cui nelle Dolomiti vivevano giganti e nani, il Catinaccio era il regno di Laurino, re di un popolo di nani. All’interno della montagna, Laurino nascondeva un tesoro di cui faceva parte anche una cappa che lo rendeva invisibile. Davanti al suo castello prosperava un bellissimo roseto recintato con fili d’oro, in cui nessuno poteva entrare. Un giorno il re si innamorò perdutamente della bellissima principessa Simile. Con l’aiuto della sua cappa la rapì e la portò nel suo regno colmandola di tesori. Simile però era triste e piena di nostalgia. Hartwig, il suo promesso sposo, chiese aiuto a Teodorico re dei Goti, il quale salì con i suoi soldati sul Catinaccio, tagliò il filo che circondava il giardino e mozzò le rose. Re Laurino accorse indossando la cappa magica, ma Re Teodorico gliela strappò e liberò Simile. Irritato per il destino avverso, Laurino si voltò verso il “Giardino delle Rose” e lo trasformò in pietra lanciando una maledizione: nessun uomo avrebbe più potuto ammirarlo, né di giorno né di notte. Laurino però si dimenticò del tramonto. E così da allora il Catinaccio, che è detto anche “giardino delle rose”, all’ora del tramonto si infiamma tingendosi di un magnifico rosa.
I monti pallidi
Nel Regno delle Dolomiti si respirava ovunque aria di felicità e armonia, tranne che nel castello reale. Il figlio del re aveva sposato la principessa della luna, ma un triste destino condannava i due giovani a vivere separati. L’uno infatti non poteva sopportare la luce della luna, che l’avrebbe reso cieco; l’altra sfuggiva la vista delle montagne e dei boschi che le causavano una malinconia insopportabile. Il principe vagando sconsolato tra le montagne e i boschi si imbatté nel re dei Salvani, un piccolo e simpatico gnomo in cerca di una terra per il suo popolo. Dopo aver ascoltato la triste storia del principe, il re dei Salvani gli propose, in cambio del permesso di abitare con la propria gente quei boschi, di rendere lucenti le montagne. E così fu: dopo una lunga notte di lavoro, gli gnomi catturarono la bianca luce della luna e con essa ricoprirono ogni centimetro delle montagne. La principessa poté così vivere felicemente accanto al suo sposo e le Dolomiti presero il nome di Monti Pallidi.
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